Tra citofoni e memorie perdute

Che cosa accomuna la tristemente nota citofonata di Matteo Salvini dell’altro giorno all’olocausto? Un viaggio attraverso la nostra memoria collettiva.

L’altro giorno Salvini ha suonato al citofono di un ragazzo – ovviamente non italiano – per chiedere se fosse uno spacciatore. Un brivido ha percorso la mia schiena, una sensazione che troppo spesso sto associando ai metodi della Lega. “Sbatti il mostro in prima pagina, non importa che sia vero o falso ciò che dici, fallo e basta“! 

Il pensiero immediato è stato: “Oggi tocca a lui, domani a me”. 

Sono una ragazza lesbica del Sud Italia, cresciuta in una società che inizialmente era monocromatica: nel mio paesino non c’erano gli omosessuali, non c’erano persone di altre nazioni, non c’era niente. In apparenza. Ero consapevolmente lesbica fin da piccola, veramente molto piccola! Ricordo ancora quella sensazione di calore allo stomaco quando guardavo certe donne belle, la voglia di abbracciarle, il sorriso istintivo e i miei occhioni che si spalancavano alla loro vista. Nessuno lo percepiva, e io “sentivo” di non doverne parlare, ovviamente! 

Sono una ragazza lesbica del Sud Italia, figlia di una famiglia che non ha mai tollerato la mia omosessualità. Quando ho capito chi fossi, dopo anni di letture solitarie e cotte innocenti, ho realizzato anche che non avrei mai potuto passare la mia vita con una maschera. E ho pianto. 

L’articolo completo su La politica del popolo:

https://www.lapoliticadelpopolo.it/2020/01/24/tra-citofoni-e-memorie-perdute/

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