8 Luglio 2000, World Pride Roma, quando ancora i Gay Pride nelle città italiane si contavano sulle dita di una mano. Estate della mia IV ginnasio.
Alla tv le immagini dei manifestanti che sfidano il Giubileo alla ricerca di Pari Diritti per tutti, fra feste e canti; a tavola, io, silente, verginlella sarda che ancora non aveva detto a nessuno chi fossi veramente; intorno a me, i miei genitori, spettatori ignari, che commentavano duramente le immagini del Gay Pride. Ricordo ancora la sensazione di profonda solitudine che provai allora, nel sentirli giudicare con vari epiteti i manifestanti, quel senso di solidarietà verso quegli sconosciuti alla tv accompagnato da una nuova, dolorosa e lacerante, consapevolezza familiare: ero “una di quelli” piuttosto che una della famiglia.
Fu un’epifania: nonostante il dolore, le difficoltà che già vedevo profilarsi all’orizzonte, le lotte per abbattere i loro pregiudizi che avrei dovuto inevitabilmente fare, capii quel giorno che il modo migliore per essere ancora figlia sarebbe stato essere prima di tutto me stessa, uscendo dall’ombra del silenzio anonimo.
Non dovetti aspettare molto per farlo, appena qualche settimana, così alla fatidica domanda risposti: “Sì, sono lesbica e sono fiera di esserlo”.
Non furono felici. Non fu un’estate felice. Ma fu liberatorio. Da allora in poi, per quanti dissensi ci potessero essere, per quante discussioni, fra di noi c’era la consapevolezza di sapere chi fossimo. Furono anni di dissidi e battaglie familiari, prima ancora che esterne. Ma quell’estate, di fronte a quelle immagini alla tv, era iniziato un percorso di consapevolezza e autodeterminazione.
Ovviamente, appena compii 18 anni, raccolsi i miei risparmi e andai al Gay Pride di Roma, felicemente fiera di poter marciare insieme a “quelli”.
Questo è stato il mio momento “morganico”, partecipa anche tu all’iniziativa di @chiaratagliaferri_ e @michimurgia , fai il tuo #morganachallange, utilizzando l’hashtag #morganasonoio
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