Io amo gli attivisti lgbtq, penso siano delle persone coraggiose, che lottano per tutti/e noi. Ma quando incontro storie come quella della protagonista dell’almanacco di oggi, mi commuovo, perché rischiare la propria vita tutti i giorni per difendere la propria e altrui identità sessuale è un atto eroico.
Era il 19 ottobre 2015 quando Kasha Jacqueline Nabagesera ricevette il Right Livelihood Award, un premio creato nel 1980 dallo svedese Jakob von Uexkull, ex membro del Parlamento europeo, per affiancare il Premio Nobel contribuendo a riconoscere e aiutare coloro che si occupano di migliorare la società, soprattutto nel Sud del mondo. Un riconoscimento importante, dato a Nabagesera per “il suo coraggio e persistenza, nonostante le intimidazioni e la violenza, nel lavorare per i diritti del popolo LGBTI ad avere una vita libera dal pregiudizio e dalle persecuzioni“.
Chi è Kasha Jacqueline Nabagesera?
La Nabagesera è una giovane donna ugandese lesbica, che ha creato nel 2003 NGO Freedom and Roam Uganda (FARUG), un’associazione che si occupa di diritti LGBT, documenta le violazioni dei diritti umani, fa pressione per avere leggi più eque, aiuta le persone a vivere una sessualità sana e libera. Tutto ciò accade in Uganda, un Paese in cui gli omosessuali sono criminalizzati, vengono eseguiti stupri correttivi, e si cerca da anni di introdurre la pena di morte per loro. In base al Codice Penale risalente all’epoca coloniale (1950), chi viene trovato a compiere atti omosessuali dev’essere punito con il carcere, dai 3 anni all’ergastolo.
Ma se questo vi sembra poco, sappiate che l’Uganda 5 anni fa stava per approvare una legge che criminalizzava anche la propaganda Lgbtq, e quindi gli attivisti come Kasha Nabagesera. Pensate che era anche una versione edulcorata del precedente disegno di legge, il quale prevedeva la pena di morte! Ci fu una mobilitazione internazionale fortissima, e alla fine, il 1 Agosto 2014, la Corte Costituzione di Kampala riuscì a cancellare la legge per un cavillo: all’atto della votazione non era stato raggiunto il quorum. Ma non bastò, infatti è di pochi giorni fa la notizia di un nuovo disegno di legge analogo al precedente, che verrà discusso entro fine anno. Perché «L’omosessualità non è naturale per gli ugandesi, ma c’è stato un massiccio reclutamento da parte di persone omosessuali nelle scuole, e in particolare tra i giovani, dove stanno promuovendo la falsità secondo cui le persone nascono in quel modo. La nostra attuale legge penale è limitata. Criminalizza solo l’atto. Vogliamo chiarire che chiunque sia anche coinvolto nella promozione e nel reclutamento deve essere criminalizzato. A coloro che commettono gravi atti verrà inflitta la condanna a morte». Sono le parole del ministro ugandese per l’Etica e l’integrità, Simon Lokodo, riportate sul giornale Africa. E non è il solo a pensarla così, anche la maggioranza della popolazione ritiene che l’omosessualità sia una malattia e che gli occidentali la diffondano e corrompano i loro bambini, del resto in Africa l’omosessualità è bandita in ben 38 Paesi e secondo Amnesty International la situazione peggiora anziché migliorare.
È questo il clima in cui Kasha Nabagesera lavora per i diritti LGBT, e non lo fa a distanza, rifugiandosi magari in Sudafrica, l’unico stato di quel continente ad avere leggi pro lgbtq. Lei lo fa lì, in loco, anche se non può camminare per strada da sola, anche se ha subito bullismo, omofobia e un tentato stupro correttivo. Anche se per riuscire a concludere i suoi studi universitari dovette intervenire la madre affinché non la cacciassero, dicendo che la figlia aveva una malattia incurabile e di tollerarla fino al conseguimento della laurea. Anche se dovette sottostare a ordini restrittivi sulla divisa, la lontananza che doveva tenere dal campus femminili e dalle altre studentesse per non farle diventare lesbiche, e le varie sospensioni scolastiche che ebbe negli anni. Ma Kasha Nabagesera è rimasta in Uganda a lottare per i diritti lgbtq. Lo fa perché “quando sanno che sei qui, che sei vicino a loro, le persone percepiscono la solidarietà e si sentono più al sicuro”, ha affermato lei stessa in un’intervista al magazine Elle.
L’attivismo di Kasha Jacqueline Nabagesera
Nel 2010 la rivista ugandese Rolling Stones, ha pubblicato i nomi e gli indirizzi dei 100 top omosessuali, con il titolo “Hang Them“, ovvero “appendili”, una lapalissiana caccia alle streghe di scopo omofobo e d’incitamento all’odio. Kasha Nabagesera non si è persa d’animo, insieme al suo amico David Kato (anche lui citato nell’articolo) è riuscita a portare in tribunale il giornale e farlo condannare. Ma, purtroppo, non è stato sufficiente per il suo amico, che è stato ucciso a martellate da un ugandese omofobo nel 2011. Così come, in seguito a quella pubblicazione tanti omosessuali hanno perso il lavoro e la casa.
Nel 2012, quando il sopracitato ministro ugandese dell’Etica, ha fatto chiudere un convegno lgbtq, Nabagesera gli ha fatto causa per aver violato il loro libero diritto di riunione. Senza paura, senza mai cedere un colpo solo.
Lotta con i malati di HIV e AIDS, per combattere la stigmatizzazione sociale, combatte attivamente i disegni di legge anti gay che vengono promossi ed è una dei pochi omosessuali attivisti LGBTQ rimasti nel Paese. Nel 2014 ha creato il Kuchu Times, una community online che si occupa delle persone lgbtq in Africa, unendo i vari mass media e distribuendo un giornale gratuito, Bombastic, scaricato già più di 2 milioni di volte. La rivista, che porta il nickname di Nabagesera, viene distribuita gratuitamente e in forma anonima, lasciata sui parabrezza delle auto, fuori casa, in modo da arrivare a più persone possibili.
Membra della Coalition of African Lesbians, ha cercato di sensibilizzare sulle tematiche lgbtq sia localmente che internazionalmente, partecipando anche a diverse sedute delle Nazioni Unite.
Il suo attivismo è stato premiato più volte, infatti ha ricevuto il Premio Martin Ennals per i difensori dei diritti umani nel 2011; quello internazionale per i diritti umani a Norimberga nel 2013. Inoltre, nel giugno 2015 è apparsa sulla copertina dell’edizione europea di TIME Magazine.
Potrei scrivere per ore ancora, di questa coraggiosa attivista, perché Kasha Jacqueline Nabagesera è il volto di un’Africa che vuole il cambiamento, che cerca un futuro più inclusivo e a misura d’uomo. E lei, questa neanche quarantenne giovane donna, è un esempio per tutti noi.
Qui sotto trovate il suo discorso alla conferenza TedX nel 2014.
Leave a Reply